Seconda puntata con le interviste alla dottoressa Lara Ventisette, psicoterapeuta esperta in psicoterapia breve strategica. Lara Ventisette riesce a trattare gli argomenti che stanno a cuore di noi genitori con ironia, leggerezza, entusiasmo, fiducia e pragmaticità; per questo consiglio di leggerli.
Dottoressa come affrontiamo le impasse educative con i nostri figli? Cosa possiamo fare per superare le difficoltà nella relazione con i nostri figli a causa di comportamenti ricorrenti che percepiamo come problematici?
Prima di tutto occorre distinguere tra difficoltà ricorrenti ma imputabili alla stanchezza del genitore e del bambino/a legate magari a un periodo lavorativo particolarmente stressante o a stanchezza di fine anno scolastico e difficoltà ricorrenti legate al sonno, all’approccio al cibo, ai capricci o nelle reazioni impulsive di aggressività nei confronti dei genitori.
Ci interessa quest’ultimo caso. Come primo passo sarebbe utile fare attivamente nulla!
1.FERMATI A OSSERVARE e studia il funzionamento del problema
E’ necessario fermarsi un attimo ed evitare di cadere nella tentazione di partire in quarta, come facciamo di solito noi genitori, tirando fuori dal cilindro soluzioni e strategie in un meccanismo un po’ schizoide di tentativi di placare all’istante le difficoltà. Rifacendomi al problem solving strategico messo a punto dal Prof. Giorgio Nardone, applicabile anche ai modelli familiari per il superamento difficoltà educative, consiglio di osservare attentamente come funziona la difficoltà.
Osserviamo quando, dove, con chi emerge la difficoltà: in quale momento della giornata, in quali luoghi, con quali persone.In questo modo abbiamo più informazioni
Ci eleggiamo a una sorta di antropologi che si fermano e studiano le difficoltà del bambino e il funzionamento di quello che percepiamo essere il problema.
2. PRENDI NOTA DELLE ECCEZIONI
Una volta fatto questo è opportuno osservare se ci sono eccezioni ovvero situazioni in cui la difficoltà non emerge: a scuola ma non a casa, a casa dai genitori ma non dai nonni o viceversa, a casa con il papà o con la mamma, coma con entrambe i genitori no …solo per fare qualche esempio.
Insomma teniamo memoria dei momenti, luoghi e persone in cui il bambino si manifesta pacifico e la difficoltà non compare.
Tutto questo va fatto prima di agire; siamo incapaci di non reagire e stare fermi.
3 BOCCHE CUCITE! LA CONGIURA DEL SILENZIO
Terzo passo è quello di smettere di parlare della difficoltà tra genitori, con le maestre, con le altre mamme, con il postino, con il panettiere o il tassista.
Siamo cresciuti in un paese dove tutti dicono “parlane che ti passa” ma l’evidenza empirica e terapeutica dimostra come più se ne parla più la difficoltà si ingigantisce. E’ come mettere del fertilizzante speciale in una pianta: più se ne mette e più la pianta cresce e si ingigantisce.
Più si parla di una difficoltà, più per la mente quella cosa è importante e più la difficoltà ci risulta percettivamente insormontabile.
Talvolta capita che la difficoltà riportata dai genitori faccia parte di una fase crescita, magari non ci si sente capaci, capiti in quella situazione e si instaurano inconsapevolmente dinamiche rischiose; se si crea il caso, ci si dice e ridice che il bambino ha un problema e che non saremo in grado di superarlo; se ne parliamo continuamente con gli altri allora sì che il problema nasce e finisce anche che gli altri comincino a schivarti. Così magari al parco se continui a sfogarti con gli altri genitori rischi di rompergli le scatole.
Per noi psicoterapeuti strategici la congiura del silenzio è l’evitare di parlare con le altre persone della difficoltà e men che meno con il bambino. Se ne parliamo è un tradimento nei confronti del bambino che amplifica la sua difficoltà e svilisce le risorse utili ad affrontarla e superarla. Nella psicoterapia breve strategica non vediamo i bambini (almeno fino agli 11-12 anni), ma i genitori sono eletti a co-terapeuti e si impegnano in un patto terapeutico che li impegna in maniera ligia a mantenere il silenzio sull’Impasse. Questo fa bene anche alla coppia che se finisce solo per parlare dei figli rischia di scomparire.
4. REPETITA NON JUVANT. OSSERVARE SENZA INTERVENIRE E INTERROMPERE I COMPORTAMENTI FALLIMENTARI.
Per esempio arrabbiarsi in caso di capricci, dare sculacciate, spiegare, fare conferenze al bambino su come dovrebbe comportarsi , invitare il bambino a riflettere magari in un angolo della stanza.
Dopo pochissimo tempo un bambino di 2 anni non si ricorda più che ti sei arrabbiato o perché.
Le azioni ianno dunque interrotte se non sono risolutive ed efficaci.
E’ bene osservare, senza distaccarsi né andare in tilt, altrimenti come può un bambino diventare capace di gestire una situazione di difficoltà se noi genitori siamo i primi a non saperla gestire? Osservare significa che sto presente, ti osservo, ti accolgo con lo sguardo, cerco di comprendere quello che ti succede, ma evito di intervenire (a meno che non ci sia un pericolo!); più che empatia si tratta di sintonizzarsi: ti sintonizzi con il bambino con disponibilità ad accoglierlo e contenerlo anche a 3 passi di distanza ma evitando di intervenire perché tante volte quell’impulso di agire non è altro che l’incapacità di noi genitori di gestire l’ansia e la difficoltà di quel momento.
Tollerare il pianto per genitori e insegnanti è difficile ma è fondamentale. SI PUO’ OSSERVARE E ACCOGLIERE IN BRACCIO UN BAMBINO IN SILENZIO senza dire “dai che ti passa “, senza la necessità di scuoterlo, o di distrarlo o di squalificarlo minimizzando il suo stato.
Sintonizzazione e contenimento sono le chiavi per cominciare a prendere familiarità con emozioni fastidiose e incomprensibili. Solo dimostrandoci disposti a tollerarle e ad accogliere quelle emozioni insegniamo a loro a riconoscerle, comprenderle e nel tempo a definirle ed esternarle in maniera funzionale.
Le parole spesso rovinano tutto. Parliamo troppo con i nosri figli!
Il canale comunicativo privilegiato fino ai 10-12 anni è quello non verbale, che non vuol dire solo fisico, ma include tutto il corredo non verbale: abbraccio, postura, sguardo e sì anche qualche parola detta con tono e volume adatto alla situazione.
Nei momenti di crisi il solo fatto di rallentare gli eloqui e abbassare il tono della voce ha effetto calmante su di noi, rallenta il battito cardiaco e riporta le funzionalità nella norma e tutto questo ha come effetto che si calmano anche i bambini.
Solitamente alzare la voce non funziona; è chiaro che in situazioni di emergenza e di pericolo si deve manifestare l’allarme con tono di voce alta e prontezza fisica per evitare rischi.
Perché può risultare difficile mettere in atto tutto questo e frenarsi dalla tentazione di agire?
Perché noi esseri umani e genitori tendiamo a ripetere gli stessi comportamenti e replicare modalità comunicative e relazionali e il rischio, come ho sottolineato nella prima intervista, è quello di perdere flessibilità in campo educativo e capacità di risolvere adeguando l’intervento alla situazione specifica che ci troviamo ad affrontare.
Certo è difficile ma questo vademecum in pochi passi è applicabile e se ci si allena a metterlo in atto i tempi in cui si smonta la difficoltà sul nascere diventano brevissimi:
CREARE UNA PAUSA TRA L’IRREFRENABILITA’ COMPULSIVA E FERMARSI AD OSSERVARE!
Nel caso in cui la difficoltà si sia cronicizzata e sia diventata un problema o una patologia L’INCIPIT è LO STESSO.
Se dopo aver messo in atto questi passi non si vedono effetti risolutivi, allora c’è bisogno di uno specialista…ma tantissime volte questo basta per superare difficoltà’ imputabili alla crescita e al cambiamento evolutivo in corso.
Intervista con:
Lara Ventisette, psicoterapeuta specializzata in terapia breve strategica
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